20091126

Generazione Y

Esco dalla metro
e mi ritrovo per la strada.
Penso che il peggio debba venire – per il semplice fatto
che nulla di pessimo sia ancora successo –
metto la mano in tasca
accendo il lettore mp3
accendo la sigaretta
riprendo il galoppo per la casa.

Mi pioveva controvento
mentre andavo.
Le macchine s'accalcavano sugli incroci
e l'acqua gli batteva contro leggera
come la sabbia stretta in un pugno
mentre scivola nel vento.

Certe cose spesso accadono
ma nessuno ne vuole assaporare l'amarezza.

Un nero mi incrocia mentre andavo:
trottava verso la stazione
con un computer sulla testa
e nelle mani il cellulare.

¡Eh?

Seppure m'ignori
spesso mi sento
in un tripudio di strascichi
e di fetore.

Ma i sensi sono nulla
confrontati al Vero —
complesso ed introverso
che verte verso nulla.

Caldo e puzzo e aspro e blu
chi scommetterebbe
che il freddo è caldo e che il blu è marrò?

Quartultimo

Ovunque tu sia
che gli dei ti guardino,
che sappiano che
lì dove sei,
rimarrai.

Che siate uno
nessuno
o centomila,
Pirandello non potrà mai smentire che
voi (oppure tu, oppure  )
siate mai esistiti.

E che tu sia maledetta;
e che Murphy confermi
che una cosa quando va male
smetterà di farlo.
Alla quartultima occasione.

Grandi aspettative

Mi ritrovo a
dover pensare del perché e il percome
della stramaledetta gente.

Bisogna costruirsi da soli l'opportunità —
lo dice anche l'oroscopo, immagino
od i biscotti dei musi gialli
o i cioccolatini di Perugia
e i ragni di Cernusco.

Doversi far strada è spesso
sintomo di desiderio di cambiamenti
e sintomo di oppressione.
Smettere di bere è sintomo dal malestare.
Smettere di guardare fa smettere di
desiderare.

Smettere di fumare però è sintomo
di cancro.
A quel punto è troppo tardi.

20091109

Spam - Carne in scatola

Prendeva sempre la metropolitana per recarsi a lavoro. Anche quella mattina la prese. Un caldo lunedì di giugno, preceduto da un fine settimana viziosamente impegnativo. Ne subì tutti i postumi proprio quella mattina. Si alzò come sempre alle otto del mattino, la casa era deserta: era sempre l'ultimo ad uscire di casa. Aveva uno strano ritornello in testa, era la suoneria di quella sua collega arrivata da poco. Era così pomposo da trapanargli la testa, così tanto che si piazzò inesorabilmente tra i motivetti che fischiettava. Gli capitava anche di fischiettarlo proprio davanti a lei (sedeva di fronte a lui), ed ogni volta lei accennava un sorrisetto trattenuto, tra il sorpreso e l'adulato. Prima o poi le avrebbe chiesto almeno di chi fosse, quella canzone..
Si sedette al cesso e cagò rumorosamente. Decise di non far la doccia, ma di approfittare del suo vigor virile: se lo prese in mano e cominciò a pompare. Con l'altra mano teneva di fronte a sé il cellulare – l'impugnava sin dal trillo della prima sveglia, un'ora prima. Lo tenne per i soli trenta secondi di video porno scaricato, poi si stufò di avere una mano occupata e lo lanciò sul mobile accanto al lavello.
Riprese a pompare, su e giù, su e giù, su e giù, finché il tono calò.
Gli capitava spesso, ultimamente. Si era lasciato da poco con l'unica ragazza che avesse mai avuto ed ogni accenno mentale a lei, anche inconsapevole, lo demoralizzava. Senza l'appoggio del porno, poi..
Sicché si fermò e pisciò ancora. Si asciugò ed afferrò nuovamente l'uccello, rabbiosamente. Su e giù, su e giù, su e giù. Non pensava a nulla, aspettava solo di finire. Era frigido con se stesso, sconvolgente. L'uccello si rizzò finalmente. Venne penosamente.
Ripensò alla doccia, ma la sega durò troppo. Si limitò a lavarsi l'uccello ed il culo, per poi passare a faccia e denti. Non c'era tempo neanche per le ascelle. Si infilò nei pantaloni del giorno prima: nessuno l'avrebbe mai scoperto; e se anche fosse? si chiese. Indossò infine una maglietta e la valigia a tracolla. Tornò in bagno a prendere il deodorante ascellare, pensando che, almeno, poteva fare i francese. Lo mise e puzzò più di prima.

Schizzò fuori casa, era in ritardo. Cercò disordinatamente le sigarette con la mano sinistra nella tasca esterna della valigia, mentre l'altra l'adagiava durante il suo galoppo verso la stazione. Le trovò, ed insieme ad esse sfilò dalla tasca il suo lettore mp3, senza gli auricolari. Non ricordava dove l'avesse lasciati. Si guardò indietro, ma ormai era troppo lontano e decise di proseguire, mugugnando bestemmie insensate, con la Lucky Strike in bocca. Doveva arrivare alla stazione prima delle 8,50 se non voleva passare altri dieci minuti a rimpiangere, in tal caso, di non aver impiegato quel tempo per andare a recuperare i suoi auricolari anziché fumare la seconda sigaretta della giornata in meno di venti minuti. Avrebbe anche perduto la sua coincidenza con i pullman che, da Famagosta, conducevano all'ufficio, ed a quel punto sarebbe arrivato a 5 sigarette nel giro di un'ora, escluse quelle citate nelle altre bestemmie insensate che avrebbero compreso i santi protettori dei tabaccai, i tabaccai stessi, le pesche tabacchiere o qualunque altra parola consonante con tabacco o sigaretta. Inoltre ce ne sarebbero state delle altre, di bestemmie insensate: quelle consonanti con auricolare.

Arrivò alla stazione. Doveva procurarsi un biglietto, superare quei maledetti tornelli e scendere in banchina, in mezzo alla folla, in attesa del treno. Ma c'era la solita fila interminabile di gente che, come lui, non aveva provveduto il giorno prima a procurarsi l'abbonamento. Decise di rinunciarvi – sapeva benissimo che se non l'avesse preso quel giorno non l'avrebbe preso più, anche se avrebbe ugualmente risparmiato, comprandolo entro l'andata del mercoledì.. – ed acquistò un biglietto singolo (di fascia inferiore a quella corretta: non mi scopriranno mai!) al distributore automatico.
Attraversò i tornelli, scese le scale e si fece strada tra la folla, fino infondo alla banchina. Rumorosa e densa folla. La gente aveva sempre qualcosa da raccontare, anche alla mattina. Non riusciva a concepirlo, né si sforzava di capirlo. Evitava di tenere alta la testa, mentre l'attraversava: aveva giust'appunto preso il pessimo quotidiano gratuito all'ingresso della stazione: capo chino sulla carta straccia mentre si faceva strada tra la gente. In questo modo si risparmiava lo sforzo di dover riconoscere gente, salutarla – nel dubbio, comunque, non l'avrebbe salutata – e costringersi a cercare argomenti futili d'intrattenimento: non era mai stato un buon intrattenitore, lui.
Il treno arrivò con due minuti di ritardo e nessuna faccia conosciuta in vista: era salvo.
Un'altra bestemmia soppressa gli vibrò in bocca, frammista all'altoparlante che annunciava per la seconda volta «fermata: Cernusco Sul Naviglio»: oltre il varco c'era sì, una faccia conosciuta.

***

Capitava davvero di rado d'avere una simile reazione di fronte ad una ragazza. Aveva gusti molto particolari — selettivi, a detta degli altri. Odiava fermarsi alle apparenze, e sulle ragazze non faceva eccezione. Ma lei era davvero troppo. La pelle di porcellana, le labbra sottili, una cascata di capelli rossi e mossi, gli occhi marroni ma delle cosce un po' troppo minute. Leggeva un piccolo libro che teneva avanti a sé con una sola mano: l'appoggiava sul palmo, mentre tendeva i due lembi usando il mignolo ed il pollice. Le sue dita erano ben curate, le unghie lucide dallo smalto trasparente. Con l'altra mano si reggeva saldamente al palo, mentre il treno proseguiva la corsa. Immaginò quella mano, in quella stessa posizione, ma col suo cazzo al posto del palo. Che manine, pensò. Grazie a quella taglia, pensò, il mio membro sarebbe straordinariamente grosso! forse non sarebbe arrivata nemmeno a toccare il pollice con l'indice! Che giocattolino.. Ghignò. Era poco più bassa di lui. Le lentiggini le sfioravano il viso lungo gli zigomi, passando per il nasino. S'inoltrò con la fantasia fino ad eiacularle sulla faccia, su quegli zigomi, su quel nasino. Poi trasalì. La riconobbe subito, la conosceva sin dal tempo della scuola superiore. Parlava bene ed era socievole, ma nonostante questo non parlarono granché, a scuola.
Si precludeva sempre anche le sole possibilità di pura e semplice socializzazione a causa del suo incurabile complesso d'inferiorità. Solo quando lesse quel brano di Bukowski in cui parlava di uno stallone da monta, sano, bell'e acconciato che non montava le cavalline, realizzò consapevolmente la sua condizione: l'allevatore le provò tutte, ma nulla finché, rinunciando, affidò il compito a qualcun altro; questi gli portò la cavallina più bella che aveva, ma la sporcò con del fango dappertutto, imbruttendola. Il cavallo ingroppò all'istante la femmina. Soffriva di complessi d'inferiorità, tutto lì.

Ci mise una pietra sopra e cercò un buco tra la gente. S'appollaiò, col braccio sinistro teso al corrimano, mentre con l'altro sfilava il libro dalla valigia. Riprendere la lettura di quel libro – L'anticristo di Nietzsche – gli era sempre difficile; doveva sempre riprendere leggiucchiando, almeno rapidamente, il capitolo precedente. Non era decisamente il suo genere di lettura, ma l'inizio di quella lo d'entusiasmò parecchio; esordiva con «Guardiamoci in faccia: siamo iperborei. Siamo ben consapevoli della diversità della nostra esistenza.». Sì, la consapevolezza della propria esistenza. La pelle gli s'accapponava ogni volta che rileggeva quella frase. Non gl'importava se poi il contenuto non fosse di suo interesse od andasse contro le sue opinioni. Adorava semplicemente la gente consapevole della propria diversità.
Ed esserlo costituiva proprio il suo problema. Rifletteva così tanto su quanto fosse lontano dagli altri da non accorgersi che stava perdendo il suo tempo. Non traeva mai soluzioni che non finissero con la condanna, inopponibile, di chi non aveva la sua stessa illuminata visione del mondo; segretamente, cercava chi capiva le sue battute, ne apprezzava lo stile e ne coglieva il vero messaggio che voleva trasmettere: raramente diceva le cose per il sol gusto di dirle. No, non era per nulla modesto con se stesso.

Con la lettura, s'era aperto all'ultima frontiera del suo piacere. Prima di questo vi erano state immaginare donne coi capelli rossi e con in mano il suo pene, e masturbarsi senza porno. La lettura lo aiutava a rimuginare ancora di più sulla sua condizione. Era la sua porta. Dietro di essa si apriva la sua interiorità, il suo desiderio di consolidazione, la sua sete di espedienti e la sua fame di sesso. Lì trovava sempre il rifugio perfetto. Il bianco, la somma di tutto, che punta alla Perfezione. Ne scorgeva i personaggi, li annusava, li tastava, li masturbava per trarne avidamente piacere. Si rifugiava, confortato, nel profumo di quella carta stampata. Il profumo della loquace silenza.

***

Chissà quanta gente passava per quelle carrozze. Chissà quante, quelle carrozze, ne avevano sentite di stronzate, di piagnistei. Chissà quanta gente aveva pisciato, o scopato, o dormito dentro quelle carrozze. Ah, se avessero la parola. Lo pensava spesso. Aveva una percezione strana, una specie di desiderio di un sesto senso grazie al quale riuscire a vedere il passato attraverso gli oggetti — chissà a quale altro abitante del mondo del tempo che fu o feticista dei giorni nostri era già sobbalzato, quel desiderio..
Suo padre aveva una moltitudine di apparecchiature elettroniche, strumenti, vecchie radio militari, libri di scuola degli anni '20, '30 e '40: cianfrusaglie varie d'altri tempi, insomma. Mentre osservava quelle cataste, gli capitava di pensare quante ne avessero viste. Voleva saperle annusare per vederne il tempo che avevano passato.
Il tempo, sì. Da ogni segno che portavano e che avevano causato, percettibile od impercettibile che fosse, si poteva ricostruire l'intera loro esistenza. Gli ricordava una vecchia storia di Zio Paperone che lesse da piccolo, in cui era alle prese a scrutare la sua cara Numero Uno e, mentre l'osservava al microscopio, ad ogni graffietto che scorgeva pensava a voce alta – perché diamine nei fumetti è normale parlare da soli!? – all'aneddoto che quel segno gli ricordava. Raccontava pezzi della storia di quel pezzo di rame.

Che storie – dunque – potevano raccontargli quelle carrozze? Se le aspetterebbe pessime e noiose, data  la moltitudine di pesi morti ed inetti che passavano per loro: era sicuro che, se raccolte, s'avrebbe ottenuto la fotografia inequivocabile dei subumani che popolano, se non l'intera Italia, tutta Milano.
Quelle storie ammorbano di pochezze, si raggrumano in discorsi stupidi, scontatezze. Ma certo! bisogna sempre aver qualcosa da dire..
 — Eh, che caldo
 — Davvero, guarda.. lo stavo giusto dicendo l'altro giorno a PierAmedeo.. io gli faccio «oh, ma sai che fa un caldo della malora?» e lui «regolare! siamo a giugno, ormai..». A proposito.. vacanze?
 — Andiamo ad Ibiza la prima, seconda, terza e quarta di agosto
 — Dai?!
 — Sì, non sai quanto c'è voluto per organizzare.. Fulgenzio non aveva soldi, Gliceria non era sicura se andare in vacanza in compagnia o sola col tipo.. sai di quelle mezze storie con Florindo, Simmaco e Tancredi, no? e poi c'era Getulio che non sapeva ancora se aveva le ferie
 — Eeeh già.. Valle a mettere d'accordo venti teste, per andare in vacanza
 — Non ti dico guarda
 — E l'università?
Se l'avesse detto alla ragazza del cazz'in mano, magari sarebbe riuscito ad attaccare.. Sempre qualcosa da dire, così si fa colpo: ricorda! C'è sempre qualcuno che hai incontrato e qualcuno interessato al racconto di questo incontro. Indicizza la mente! Inutile parlare di un album carino, un libro interessante o i buchi di culo dei rottweiler. Essere d'accordo con gli altri e non pisciare contro il vento del comune consenso che scuote la bandiera del popolino, sì che sono produttivi. Niente innovazioni, niente avanguardia, niente personalità. C&C: Ciance e Consensi, ricorda!

Senza speranza. Non si lagnava neanche più, ormai. Accettava, per il momento, di buon grado la sua condizione di sacerdote senza dio. Né carne né pesce né niente, direbbe Arturo Bandini. Si rinchiudeva tra le pareti delle sue idee, coprendosi orecchie e occhi.
Era combattuto dalla tentazione di volersi lasciare andare a sogni, possibili amori, ottenere la vita perfetta. Ma le disillusioni che aveva ottenuto lo frenavano – probabilmente per sua fortuna – e continuava, imperterrito, a camminare sul filo del rasoio. Sopprimeva tutto il negativo, i cattivi pensieri.

***

Il libro l'aveva annoiato sin troppo, sicché decise di chiuderlo provvisoriamente, usando l'indice come segnalibro. Si guardò attorno, soffrì delle ciance della carne e si accorse di trovarsi di fronte ad un aut aut alquanto cruento: continuare a sorbire le ciance degli altri e rischiare di ricadere nei suoi dolorosi pensieri o proseguire con la lettura, seppur così noiosa. Riaprì il libro, sfilò il dito dal volume, e lo sfogliò distrattamente; leggiucchiava qualche frase a caso, evitando quelle marcate con delle note a piè di pagina: lo urtava dover interrompere la lettura e lo urtava ancor di più essere pilotato durante una lettura, per far maturare ciò che il traduttore, l'editore o chicchessia pensava. A scuola, durante lettere, non prendeva mai appunti sulle parafrasi delle poesie e quando veniva interrogato, semplicemente l'improvvisava e non l'azzeccava mai come la voleva la prof. Non gl'importava.
Infine desistette in tutto: prima tornò a rileggere qualche riferimento o spiegazione, poi si stufò definitivamente e ripose il volume nella valigetta.

Si arrese all'idea di dover ascoltare le ciance altrui. Riscorse la rossa: anche lei smise di leggere. Gli sguardi s'incrociarono, lui immaginò il proprio prima indifferente, poi falsamente sorpreso per averla riconosciuta. Anche lei sembrò solo falsamente sorpresa, mentre si rizzò dal palo al quale era appoggiata con le spalle, lo stesso che prima masturbava fermamente.
Lui si avvicinò, ancora con la faccia da coglione, ed esclamò — Ciaàààao! non aveva assolutamente idea di cosa stesse facendo, a cosa pensare, e ovviamente non aveva idea di cosa dire. Notò ancora le sue labbra rosate, sottili, fresche. Sfoggiò un abbondante sorriso falso e sicuro di sé, e proseguirono così con valanghe di altre espressioni di sorta. Non superò le quattro sillabe per frase: una slavina.
Era a metà della tratta e la parlantina di lei stentò giusto due fermate prima che giungesse alla sua. Poco prima che le il treno si fermasse all'ultima fermata, le chiese il numero di cellulare. Lei stava giusto ricomponendosi per scendere, e dalla sua espressione notò dello stupore nei suoi riguardi. Gli tolse il cellulare di mano, che nel frattempo aveva sfilato dalla tasca, lo scrisse e gli disse di farle uno squillo. Scappò.

***

Quella giornata la passò non ripensando, ma subendo flashback di quell'incontro.
 — Ciao, ti ricordi di me?
 — Sì, uno dei tanti
 — Già.. mi dai il tuo numero?
 — Massì, tanto..
¡OLÈ!
Sì, era stato fintroppo facile; e questo perché lei era maledettamente equa e solidale: l'avrebbe dato a chiunque gliel'avesse chiesto, senza distinzione di razza, sesso, religione, con o senza lasciapassare per le sue gambe. No, non faceva per lui.
No, è troppo, decisamente. E poi l'ha dato a me come l'avrebbe dato al violinista ambulante. Troppo in alto e troppo giusta. Non ci facciamo prendere dalla foga. E poi.. dov'è il mio fango!?

***

Al ritorno, col suo comodo, evitò di incontrare i suoi colleghi aspettando qualche minuto davanti alla stazione. S'accese una sigaretta, diede un occhio al cellulare. Silenzio. Voleva perder più tempo possibile, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora di finirla, quella sigaretta.
Sopravvisse all'attesa, entrò in stazione ed acquistò un altro biglietto al distributore automatico. Fascia urbana, quando doveva attraversare tutta Milano fino ad arrivare a Cernusco. Che impostore! ma in qualche modo doveva pur ammortizzare i costi della sua decisione di non prendere l'abbonamento, per quella settimana. Che economo!, si decantò.
Scese in banchina, attese il treno e ci entrò rapidamente. Si sedette in uno di quei seggiolini snobbati persino dal peggiore tra i Meneghini — popolo nato bell'e profumato ed ingellato: quelli occupati solitamente dai negri, disposti perpendicolarmente alla carrozza. S'assopì all'istante.
Si risvegliò due fermate dopo la sua. Scese alla prossima ed andò sulla banchina in attesa del treno in direzione opposta. Il ritorno non era mai come l'andata: ormai era fuori casa e, a dire il vero, non voleva tornarci affatto. Non ne aveva nessuna fretta, per lo meno. Fumò qualche altra sigaretta, il treno arrivò. Buttò metà della terza sigaretta prima di salire.